SLOVENJ

La gente della Slavia nel primo Novecento
fotografie di Giovanni Gujon


Giovanni Gujon (Biacis 1877-Valbruna 1966), sacerdote-fotografo, dal 1904 fu cappellano a San Volfango e dal 1919 fino al 1935 ad Azzida. Appassionato cultore delle novità in campo tecnologico oltre che indefesso animatore sociale, già nei primi anni del Novecento produceva energia elettrica in proprio e possedeva cineproiettore e grammofono. La sua motocicletta fu tra le prime a circolare lungo le strade delle Valli del Natisone – e tale spregiudicatezza lo fece incorrere nelle censure dell’autorità ecclesiastica – sostituita poi da una Fiat 509 di seconda mano.
Collaborò all’istituzione di varie associazioni, della cooperativa di consumo di Azzida, della banda musicale e di un gruppo teatrale... Sono, queste, solo alcune notizie utili a delineare la personalità di questo dinamico prete incline alla modernità. Tra le sue passioni, anche la fotografia. Ed ecco che a partire dagli anni ‘10 e fino alla metà degli anni ‘30, egli si preoccupò di documentare i piccoli eventi che andavano a comporre la cronaca paesana delle Valli del Natisone: l’arrivo delle nuove campane a Brischis, l’inaugurazione di un monumento a Cepletischis, oppure un comizio elettorale ad Azzida. Ma soprattutto immortalò le persone. Sono infatti le immagini che mostrano la gente della Slavia a costituire la parte più consistente del Fondo fotografico Giovanni Gujon ed il percorso proposto in questa esposizione.
Se in genere le testimonianze fotografiche di inizio Novecento sono dovute agli album di famiglia in cui le immagini accompagnano gli eventi principali o più importanti della vita privata assumendo valore rituale, nel caso di Gujon il rituale sembra compiersi col gesto fotografico stesso, quasi a voler testimoniare, in modo semplice e spontaneo, la presenza stessa della gente, della sua comunità. Come se il prete valligiano avesse assunto le funzioni di quei fotografi ambulanti poco presenti allora nel territorio delle Valli del Natisone, alla cui modalità operativa si può assimilare il suo lavoro. In esso, infatti, vengono replicati modelli visivi già consolidati, ad imitazione degli eleganti studi cittadini, con l’uso di orpelli di fortuna, semplici sedie, un lenzuolo o un tappeto come fondali.






Ma guardando queste fotografie si vede anche ciò che va oltre i soggetti ripresi, e non solo perché il lenzuolo e il tappeto usati come fondale finiscono a volte nel pieno dell’inquadratura permettendoci di scorgere il paesaggio intorno, le case, i soffitti. Gujon era spinto a usare la macchina fotografica da motivazioni che vanno ben al di là dello specifico fotografico. La curiosità quasi sperimentale nell’uso dello strumento sembra dargli la capacità di passare oltre i volti delle persone. Queste fotografie non paiono tanto la realizzazione di ritratti posati e descrittivi quanto la testimonianza di un momento di fraternità, in cui il fotografo non è per forza solo fotografo ma pare piuttosto un calzolaio, uno che fa le cose a misura delle persone che incontra.
La scelta delle fotografie esposte, selezionate tra i circa trecento negativi del Fondo in prevalenza su lastra 9x12cm e 10x15cm, risponde quindi a criteri estetici piuttosto che ad una puntuale ricostruzione storica; parziali deroghe sono rappresentate dalla sezione con due autoritratti e fotografie dei familiari e dalla serie che si riferisce alle foto scattate a Piediluco, in comune di Terni, località dove Gujon riparò come profugo per alcuni mesi dopo la rotta di Caporetto dell’ottobre 1917.



Quella che vediamo è una galleria umana di inizio Novecento riprodotta con sofisticate tecniche di stampa digitale (assecondando alcune incidentali variazioni cromatiche che il trasferimento su files dei negativi può comportare) che allontanano questi ingrandimenti dai loro originali senza volontà di falsificazione o mancanza di rispetto filologico ma con la consapevolezza della necessità di scelte arbitrarie – dovute peraltro anche al mancato confronto con le stampe d’epoca realizzate dall’autore – che possano contribuire a rendere attuali le immagini che raccontano di un mondo trascorso.

Mostra realizzata in collaborazione con l'Associazione Don Eugenio Blanchini di Cividale del Friuli.

 

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